Liana Borghi
Noi di Raccontar(si)
[a cura di Laura Capobianco, Raccontarsi, comunicare, trasmettere: il cammino del genere. 1993-2003. Decennale della scuola estiva delle donne, Filema 2004]
Con l’ormai consueta, cauta trepidazione abbiamo di nuovo avviato i laboriosi preparativi per la quarta edizione di “Raccontar(si)”, il laboratorio estivo di mediazione interculturale organizzato a villa Fiorelli, Prato, dalla sezione toscana della Società Italiana delle Letterate e l’Associazione Il Giardino dei Ciliegi in collaborazione con gli enti locali e in intesa con l’Università di Firenze.* Non si tratta di un corso sulle tecniche della mediazione, ma di uno spazio di riflessione sulla trasversalità culturale, sociale, etnica in cui viviamo. Per noi tutta la cultura è necessariamente intercultura e quindi parliamo di autobiografia, letteratura, storia delle donne, antropologia, solidarietà, politica, esperienze di vita, paragonando la cultura italiana con quella europea, e le culture europee con quelle extraeuropee.
Quest’anno le parole chiave del Laboratorio sono “genere, diversità, culture”, ed è come se queste parole siano emerse per necessità dal discorso che continuiamo a fare anche tacitamente, virtualmente, o in assenza, con chi lo ha condiviso finora.
Nonostante possa sembrare un titolo scontato, il tema trasversale e interattivo del “raccontare/raccontarsi” veniva e viene puntualmente applicato nell’intreccio fra temi e libro durante i moduli giornalieri del Laboratorio, quando l’esperienza di ciascuna interagisce con l’analisi della struttura della narrazione, e quando la parola autobiografica in letteratura si fa strategia relazionale attenta a possibili mediazioni ‘non indifferenti alle differenze’, coscienti dei fenomeni di traduzione e migrazione all’interno di uno stesso linguaggio ma tra corpi e contesti diversi. A fine Laboratorio tutte le partecipanti consegnano una breve auto/biografia computerizzata (immagini/testo/musica) che si posizioni rispetto ai temi discussi.
Se ripenso all’autunno del 2000, quando cominciammo a cercare sede e contatti istituzionali per realizzare la scuola, mi rendo conto di quanto sia cambiato il nostro tessuto socio-affettivo da allora, grazie alle persone, soprattutto donne — e molte di loro le giovani e non tanto giovani “fiorelle” — che hanno creduto in questo esperimento e hanno fatto la loro parte offrendo fiducia, mezzi, tempo, creatività, visione.
Ora sembra tutto così facile e ovvio: decidere di mettere in pratica le nostre teorie femministe, insistere che dovevamo partire da noi per sperimentare forme di mediazione interculturale, studiarne i meccanismi e le ricadute su di noi, ripensarci come soggetti – diasporici, nomadi, de-territorializzati, prismatici, frontalieri, liminali, eccentrici, cyborg, contaminati… Quattro anni fa eravamo (chi più chi meno) delle “letterate” unite da una visione abbastanza coerente e relativamente circoscritta del nostro ruolo di studiose della scrittura femminile. Alcune di noi si identificavano con la comparatistica, gli studi culturali, il postcoloniale e prestavano attenzione anche politica ai cambiamenti che l’immigrazione ha portato nel quotidiano come nella cultura. Non credo però ci immaginassimo cosa avrebbe significato per ciascuna di noi l’esperimento di villa Fiorelli, in termini personali di ascolto, ricerca, esperienza.
Un intento primario del Laboratorio è quello di costruire una comunità di pratica basata sullo scambio di informazioni, impegno e risorse. La sorpresa è stata che l’immersione negli eventi condivisi durante le giornate passate insieme, l’ascolto di tante storie vissute, l’analisi di tante situazioni culturali analizzate da punti di vista così diversi, l’intrecciarsi continuo di discipline e posizionamenti, insieme al continuo scambio di ruoli tra chi era venuta per imparare e chi per insegnare, hanno creato per noi tutte anche la necessità di una nuova pratica politica che esprima il senso di cura e responsabilità che abbiamo ripetutamente provato stando insieme.
Logico, dunque, che dopo un primo laboratorio introduttivo (2001), dedicata specificamente al raccontar(si) attraverso i generi letterari, il secondo (2002) fosse dedicato a “genere, individualità, cultura” con l’intenzione di qualificare e discutere strategie di empowerment individuale e collettivo. Poiché il nostro Laboratorio mette sempre in prospettiva il “genere”, per empowerment si intendeva il reciproco potenziamento delle singole capacità e attitudini messo in atto da due o più donne che collaborano con finalità comuni a una più equa e solidale ripartizione sociale delle risorse disponibili.Incrociava quindi più strettamente letterature e racconti di vita vissuta, cercando indizi passati e presenti per una possibile decostruzione del modello prevalente di globalizzazione e delle sue guerre. Con le sue tre parole chiave, “genere, complessità, culture”, il terzo laboratorio (2003) aveva il ruolo ambizioso di mostrare come certi concetti scientifici possano aiutarci a comprendere l’organizzazione del reale, nel quotidiano come nelle arti, sia che si discuta di intercultura e migrazioni; di mediazioni e traduzioni; oppure di teorie, poetica e rappresentazioni della complessità. Comprendeva quindi quel vasto campo teorico che interroga l’ordine, il disordine, il caos: sistemi complessi per la quantità di fattori indipendenti che interagiscono, e perciò sfuggono alla nostra capacità di controllo, che vivono e operano in bilico sull’orlo del caos, producono il nuovo che destabilizza l’ordine dato. Ne sono esempio la schiavitù, l’apartheid, la subordinazione femminile da cui nascono i movimenti di rivendicazione dei diritti civili e il femminismo; oppure un sistema (monarchie, totalitarismi, democrazie, imperialismi) che si rovescia, si dissolve, implode; oppure una specie che scompare (non solo i dinosauri) o si trasforma. Scegliere il modello della complessità ha significato anche scegliere un modello non teleologico, e perciò funzionale al pensiero postmoderno, consono agli esempi di democrazia partecipativa che desideriamo prospettare attraverso i nostri studi inter- e transculturali.
Dal secondo laboratorio abbiamo tratto una raccolta di saggi intitolata Visioni in/sostenibili: genere e intercultura (CUEC, Cagliari, 2003) e stiamo raccogliendo proprio ora i saggi per un secondo volume sulla complessità. Intanto la nostra rete si allarga e quest’anno i rapporti tra il Laboratorio e la città di Trento, con il suo Gioco degli Specchi sulle letterature migranti, avrà una sua giornata fiorentina proprio alla fine della nostra settimana dedicata alla diversità.
[Liana Borghi 2004]
*Il “noi” di questa frase allude al comitato organizzatore: due italianiste (Clotilde Barbarulli e Monica Farnetti), un’astrofisica che insegna antropologia culturale (Elena Bougleux), una psicologa-giornalista (Mary Nicotra) e un’anglista-americanista (Liana Borghi). Per ulteriori informazioni e resoconti dei tre laboratori, si possono visitare i siti http://www.unifi.it/gender oppure http://digilander.iol.it/raccontarsi/. Le date del prossimo Laboratorio sono 26 agosto-4 settembre 2004.