04 introduzione alla diversità

Liana Borghi / Introduzione alla diversità (Raccontarsi 2004)

Sono una delle socie fondatrici della Società Italiana delle Letterate, e ricercatrice di Letteratura Nord-Americana all’Università di Firenze dove però insegno letteratura (di lingua) inglese. La mia pratica interculturale non è nata solo da questa contaminazione accademica, ma piuttosto, direi, da un femminismo (come esperienza vissuta, politica, teoria e metodo di indagine) che mi richiede un approccio multiculturale, neostoricista e comparativo ai testi, e investe nelle complessità identitarie (etniche, razziali, sessuali, nazionali) e nei processi di decolonizzazione, contestazione, resistenza. Mi interessano molto gli oggetti teorici che costruiamo in base alla molteplicità delle differenze, alla diversità. Di solito mi occupo di scritti delle donne, da fine Settecento al presente. Ho curato S/Oggetti Immaginari. Letterature comparate al femminile (QuattroVenti 1996) con Rita Svandrlik, e un secondo volume intitolato Passaggi: Letterature comparate al femminile (QuattroVenti 2002);  con Clotilde Barbarulli Visioni in/sostenibili. Genere e intercultura (CUEC 2003) e Figure della complessità. Genere e intercultura (CUEC 2004) – due raccolte degli interventi di varie partecipanti al nostro Laboratorio.

Il mio intervento sulla “diversità” si ricollega a quelli di Clare Hemmings, Mary Nicotra e Roberta Rebori. Quest’anno, oltre a insegnare due moduli sulla letteratura e l’impero, ho diretto l’organizzazione del Polispazio Queer a Firenze, in occasione del quale è venuta in Italia la scrittrice americana transgender Leslie Feinberg della quale era stato tradotto per l’occasione il suo romanzo autobiografico, Stonebutch Blues (Il dito e la luna 2004).  Come potete immaginare, in quell’occasione ci siamo occupate/i molto di genere, diversità, transiti identitari, omofobia, resistenza, e ci siamo ripetutamente chieste/i cosa implicasse questo desiderio di diventare uomo da parte di alcune donne – tutte cose di cui credo discuteremo insieme e di cui troverete traccia in un mio articolo intitolato “Ereditiere”.  Come sapete, le esperienze forti (come è stato il Polispazio per me) spesso esauriscono le vene aurifere di un particolare spazio immaginario.  In queste ultime settimane villa Fiorelli, passata e presente, ha poco per volta riempito il mio orizzonte di pensiero.  Mentre curavo la nuova raccolta di testi sulle figure della complessità e organizzavo Raccontar/si4 in quotidiano scambio con Clotilde Barbarulli, mi chiedevo le solite cose: perché abbiamo pensato questa scuola, come la volevamo e cosa sta diventando, come deve cambiare, quali rapporti intessiamo tra  noi, dove stanno le mancanze e i desideri, quali sono gli errori, qual è il nostro grado di obsolescenza, chi siamo in  questa congiuntura storica, cosa significa sentire anche la responsabilità di altre vite e altri mondi, come non essere cieche ai loro e nostri  problemi, che peso può avere il nostro raccontarsi in un mondo minato da guerre e violenza.

Stranamente ma forse prevedibilmente, ho trovato che un romanzo autobiografico appena tradotto in italiano, Leggere Lolita a Teheran (Adelfi 2004), della scrittrice Azar Nafisi, iraniana emigrata in USA, parla nella direzione di queste domande. Prima perché racconta,  con digressioni e meandri associativi, la storia dell’intimità condivisa da un gruppo di donne che si riuniscono il giovedì clandestinamente, dal 1995 a 1997, a casa di Nafisi a Teheran — lei autrice/protagonista, professoressa di letteratura americana epurata dall’università, loro/personaggi/protagoniste, sette brave studentesse appassionate di libri — per interrogare il rapporto che lega letteratura e mondo (non solo l’esperienza quotidiana di brutalità e umiliazioni sotto il regime degli ayatollah, ma anche quello “strappo nel nostro mondo che conduce a un altro mondo di tenerezza, luce, bellezza”), estetica e ideologia (la ricerca del bello, della libertà contro la fabbrica del consenso, l’illegalità dei sogni, il potere dei censori).  Poi perché l’imperio del regime islamico sulla separazione tra i due sessi, su una incontrovertibile diversità riconducibile all’IO/altra, è tanto così distante dal concetto di diversità che praticano i soggetti dell’intercultura che conosciamo. Il nostro Soggetto (contaminato, lo chiama Elena Pulcini) è costituito da stratificazioni di differenze, frutto di infinite negoziazioni (coalescenze, coagulazioni, fusioni, precipitati, li chiama Elena Bougleux) che significano una griglia differenziale di eterogeneità, una ricca disomogenea complessità, e la disponibilità a spostamenti posizionali e paradigmatici.  Questi nostri valori postmoderni sono animati dall’etica della responsabilità e hanno come correlativo oggettivo l’immigrazione, l’esilio, le diaspore, ibridazioni e diversità di cui studiamo testi e contesti.  Sì, ma è anche vero che questa apertura identitaria, spesso più ideologica che praticata, frequentemente si raggiunge, se si raggiunge, attraverso percorsi difficili e accidentati.  Così, almeno, ci dimostra Stonebutch Blues.

Mi interrompo. Continuerò il discorso nella nostra giornata sulla “Diversità manifesta”, collegando il romanzo autobiografico di Leslie Feinberg (che spero qualcuna di voi abbia letto) ad alcuni degli interrogativi sollevatidal romanzo autobiografico di Azar Nafisi.

Da leggere:

Leslie Feinberg, Stonebutch Blues, Il dito e la luna, Milano  2004. Su Feinberg, vedi “Ereditiere”, pubblicato sulla rivista  Towanda (giugno 2004) e ora consultabile su xoomer.virgilio.it › raccontarsi›
Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelfi, Milano 2004. Su Nafisi vedi:

http://dialogueproject.sais-jhu.edu/aboutDP.php
http://www.radioradicale.it/primopiano.php?mostra=920
http://www.provincia.venezia.it/medea/gab/nafisi/nafisi_1.htm
http://www.repubblica.it/2004/f/sezioni/spettacoli_e_cultura/libri36/lolita/lolita.html

Daniele Giglioli, “Allah salvi Nabokov”, il manifesto, 19-6-2004, Alias-La talpa libri, p. 17
Donna J. Haraway, “Chicken for Shock and Awe: War on Words”.  Scritto da lei inviato via e-mail.
[il testo è ora incluso nel volume When Species Meet, University of Minnesota Press, Minneapolis 2008]