Raccontar(si) 2005, per Loubna Handou
In questo momento sono combattuta fra due sentimenti contrastanti: da una parte sono onorata del fatto che mi sia stato chiesto di raccontare l’esperienza che ho avuto la fortuna di vivere nel laboratorio residenziale di Racconta(si); dall’altra mi sento sulle spalle una grossa responsabilità, perché è veramente un’ ardua impresa raccontare ciò che esprimere a parole è impossibile. Comunque cercherò di fare del mio meglio. Sono venuta a conoscenza di questo laboratorio quasi per caso e, dato che nel mio piccolo anche io mi occupo di mediazione culturale, mi sono subito interessata.
Alla sua quinta edizione, il laboratorio di mediazione culturale di Raccontar(si), si è tenuto presso Villa Fiorelli a Prato a cura della Società Italiana delle Letterate e dell’associazione del Giardino dei Ciliegi in intesa con l’Università di Firenze. Tema centrale “precaria/mente: genere e intercultura”.
Mi era stato detto che saremmo state tutte donne, ma poi ho scoperto che quest’anno il laboratorio avrebbe chiuso un occhio, ospitando anche due ragazzi. Eravamo donne di varia età e varia estrazione sociale e culturale. Ho subito sentito una bella emozione quando abbiamo cominciato le lezioni, da una parte le maestre (Clotilde Barbarulli, Liana Borghi, Monica Farnetti e Mary Nicotra) dall’altra le fiorelle (tutte noi), ma questa distinzione era quasi invisibile: quando ci ritrovavamo nella sala, qualsiasi nostra caratteristica che normalmente ci avrebbe distinte era annullata e non so come; pareva che qualche misteriosa alchimia ci rendesse tutte uguali, su uno stesso piano. Come gli antichi greci quando si ritrovavano a discutere nell’Agorà.
Non riuscivo a capire come tutto questo potesse essere possibile….ho scoperto solo verso la fine della settimana che il trait d’union era nascosto in una parola che io personalmente non avevo mai preso in considerazione e che oggigiorno è l’incubo di tutti, compagna indesiderata di un destino comune: la PRECARIETA’. Parola multiforme che ognuna di noi vive diversamente: precarietà della parola, dell’ascolto, del vivere stesso e precarietà socio-culturale.
Come ho accennato prima, la precarietà è stato il tema di quest’anno, ingrediente base nella torta globale del neoliberismo. Esso è stato affrontato e analizzato sotto vari punti di vista grazie a molti interventi, ma soprattutto grazie a gruppi di discussione e a reportage e storie di vita. Percorso unico e inesauribile verso lo smembramento e l’annichilimento della parola precarietà: dalla valigia della zia di Kaha Aden alle piccole aziende per la pulizia e l’essicazione del pesce organizzate dalle donne senegalesi.
E’ incommensurabile il valore che un’esperienza del genere ha avuto sul mio io. Sono rari i momenti in cui mi fermo e rifletto seriamente sulla mia vita e sul mio divenire. La precarietà del mio essere era un lato che non avevo ancora preso in considerazione e la settimana passata a Villa Fiorelli mi ha aperto gli occhi su tutti i tipi di precarietà a cui uno può essere soggetto. Durante certi interventi ho sentito lamentarsi gente che forse di precarietà grave non soffre……allora ho pensato alla mia situazione e avrei voluto fare sentire la mia voce.
Io che mi sono scoperta intimamente precaria ero quasi indignata. Però, con un sospiro di sollievo, ho preferito il silenzio quando altre che hanno vissuto peripezie simili alle mie hanno reso giustizia alle donne che soffrono quotidianamente per raggiungere una vita dignitosa e indipendente, che cercano di passare da “una precarietà imposta ad una conquistata- nel senso di molteplici appartenenze, di culture e lingue in movimento- senza perdere la dimensione di materialità nella complessità dei processi.”
In conclusione però, posso dire che in un’atmosfera come quella che si crea a Villa Fiorelli, anche lo spauracchio più grande viene esorcizzato……