Dopo il nostro incontro digitale del 9 febbraio 2021 sul tema “Il senso della politica: rileggere bell hooks oggi”, vi ripropongo uno scritto apparso sulle colonne del quotidiano l’Unità il 5 giugno 2000. A distanza di oltre vent’anni, mi piace pensare che il nucleo più urgentemente politico della teoria elaborata da bell nel corso del tempo e modulata sul limine di filosofia, pedagogia e femminismo sia quello che riguarda la relazione d’amore.
La parola amore esiste
Breviario anticonformista di una tenera bell hooks
Maria Nadotti
Mesi fa, quando ancora era intenta alla stesura dei tredici capitoli che compongono Tutto sull’amore la scrittrice e teorica africana americana bell hooks mi confessava l’ambizione e la sfida che stavano alla base di quel suo progetto all’apparenza eccentrico.
«A noi neri», questo nella sostanza il suo ragionamento, «proprio per quella che nel mondo occidentale è tuttora considerata un’anomalia, se non addirittura uno stigma, vale a dire il colore della nostra pelle, è consentito dire pubblicamente la nostra solo su determinati argomenti e in situazioni particolari. Va bene se affrontiamo la questione dei razzismi o se denunciamo le forme di sfruttamento e di discriminazione che storicamente ci pesano addosso, così come va bene che ci distinguiamo in alcuni campi: la danza, certi generi musicali, qualche sport. Guai a noi, però, se osiamo far sentire la nostra voce fuori da questi ambiti, affermando il nostro diritto a parlare di tutto e a rivolgerci a tutti. Bene, questo mio piccolo trattato sull’amore – sentimento che, nelle sue varie manifestazioni, accomuna gli esseri umani al di là del sesso, della razza, della classe, della religione di appartenenza – intende rompere ogni schema e opporsi all’insidioso “specialismo” che vorrebbe noi neri competenti solo nelle materie che ci “riguardano” da vicino e che, guarda caso, da molti secoli non siamo noi a definire».
Ecco dunque che questa lucida e militante intellettuale statunitense (che ha al suo attivo una quindicina di saggi teorici, due volumi autobiografici, varie raccolte di poesia e una folgorante carriera universitaria) sceglie di compiere il triplo salto mortale di uscire dal territorio sicuro dei Black Studies e degli Women’s Studies e di tuffarsi con impagabile sicurezza tra le sabbie mobili di una materia che gli studiosi (non solo neri) guardano di solito con assoluta diffidenza e con discreta altezzosità. Già, perché per parlare d’amore – e dunque di sessualità, erotismo, desiderio, piacere,ma anche di dolore, perdita, abbandono, tradimento, illusione, solitudine, paura, lutto – è indispensabile affondare le mani nella pasta spesso vischiosa del sentimentalismo, nella tanta paccottiglia spiritualistica che circola sotto il marchio New Age, nel «basso» della narrativa e del cinema di consumo, delle rubriche del cuore delle riviste femminili, degli infiniti manuali di fai-da-te del sentimento che l’editoria occidentale produce a ritmi vertiginosi. Il troppo spesso astruso «alto» delle discipline nobili – letteratura , psicologia, psicoanalisi, filosofia, sociologia, antropologia, estetica – è infatti, di frequente, del tutto scollato dall’esperienza concreta di donne e uomini, dalla nostra vorace e furtiva fame d’amore e di senso, dalla «rozza» e prepotente richiesta d’affetto e riconoscimento che è in ognuno di noi.
Acuta e limpida, ardita e deliberatamente sfrontata, in Tutto sull’amore bell valica dunque a più riprese la sottile linea del pudore intellettuale, per andare a cercare risposte là dove di solito la Cultura si barrica in uno sprezzante silenzio, cedendo il passo ai diktat del mercato e dell’ideologia e alla vis banalizzante dei media. «È la cultura popolare », afferma l’autrice in apertura di libro, «l’ambito d’elezione per parlare del nostro struggente desiderio d’amore. È ai film, alla musica, alle riviste, ai libri che ci rivolgiamo per trovare espresso il nostro dirompente bisogno d’amore». Ed è lì che l’autrice, ridendosela del cosiddetto buon gusto e delle sue censure, così come di ogni dover essere politico e preconfezionato moralismo, attinge a piene mani per riflettere sulla direzione in cui stanno andando le società occidentali, primo fra tutti il grasso, stordito, arrogante colosso statunitense, affogato nel suo delirio di potenza e nella sua ossessione consumistica.
Se tanti cittadini nordamericani accettano disorientati e depressi le regole spietate del neo-liberismo economico che semina malessere nel paese e guerra, fame, povertà fuori dai suoi confini, è perché la macchina imbonitrice del risorto capitalismo selvaggio li ha spinti a ripiegare nel privato e a non vedere i nessi che legano personale e politico, storia individuale e società.
«Ho deciso di dedicarmi “scientificamente” al tema dell’amore», dice hooks, «perché senza amore, senza un’etica d’amore, non può esserci giustizia sociale. I grandi nemici dell’epoca contemporanea sono infatti il forte individualismo e quella morte in vita che è il cinismo, l’incapacità di credere nella forza risanatrice delle passioni. Se alla trionfante logica materialistica non troviamo modo di contrapporre il sogno e l’immaginazione di una comunità amorosa e solidale, il progetto di tante e attive “famiglie” d’elezione capaci di sottrarci alla passività e a una mortifera sensazione di impotenza, il rischio che si corre è di smarrire la nostra umanità e la capacità di interpretare il mondo».
Diviso per temi – chiarezza, giustizia, onestà, impegno, spiritualità, valori, avidità, comunità, reciprocità, amore romantico, lutto, guarigione, destino – l’agile e tenero breviario amoroso di hooks si candida a diventare un libro di culto per i giovani e i puri, e a far indignare chi ha qualche interesse accademico o disciplinare da difendere e salvaguardare.