“Il senso della politica: rileggere bell hooks oggi” 9 febbraio 2021
Clotilde Barbarulli
Buonasera a tutt*. In breve, per lasciare spazio alle relatrici e al pubblico, così da favorire uno scambio reale, devo dire che sono molto contenta di questo incontro organizzato con la Casa internazionale delle donne di Roma e l’Associazione Evelina De Magistris di Livorno: a livello personale, dopo aver letto Angela Davis che veniva tradotta già negli anni ‘70, ho incontrato (avendo problemi con l’inglese) per la prima volta bell hooks nel 1982 in una rivista da me amata L’orsaminore: ne parlava Laura Balbo (“Nere, non sorelle”) chiedendosi perché fino ad allora non ci eravamo accorte che l’esperienza del femminismo era stata dominata da donne europee e nordamericane bianche: l’occasione per affrontare il problema veniva data dalla pubblicazione di Ain’t I a Woman: Black Women and Feminism, di bell hooks, di cui traduceva alcuni brani, ricordando l’indignazione e lo sconforto di quella giovane incontrata in un seminario di teoria femminista della Californ, quando denunciava appunto gli atteggiamenti sessisti e razzisti presenti nel femminismo bianco e nella società americana (nodo, direi, quanto mai attuale). “Ora – aggiungeva Balbo – devo imparare, dobbiamo imparare, che stiamo dentro meccanismi discriminatori e razzisti anche solo per non aver posto la questione”.
Mi colpì molto e quindi poi lessi con piacere l’”Elogio del margine” e la bella intervista a cura di Maria Nadotti negli anni novanta. La riedizione di questi due libri (edizioni Tamu), insieme alla traduzione di “Insegnareaè trasgredire” (per Meltemi), consentono di riprendere la riflessione.
Ora il tema della decolonialità ha attraversato il Giardino dei Ciliegi in varie forme, dalla Scuola estiva di “Raccontarsi” agli ultimi convegni, in particolare a quello su “DE/CLINARE percorsi di sottrazione nelle narrazioni di movimenti, pratiche, corpi” del 2018 e “Performatività del dominio” 2019: in sintesi, dopo aver riflettuto sul de-coloniale per sottrarre saperi e immaginario al predatorio dominio capitalistico, abbiamo lavorato su quali pratiche e narrative possono offrire percorsi di resistenza alla violenza epistemica, cercando di restare – appunto- sul margine, criticamente lontano dal potere dove si consolidano e cristallizzano discorsi mistificanti consacrati da politici, media e rete, nell’arroganza del razzismo. Fra parentesi nel nostro sito potete trovare i relativi materiali.
In Elogio del margine bell hooks riflette proprio sull’imparare a vedere altrimenti nel capitolo dedicato all’estetica della negritudine, al nesso arte e politica, e analizza poi le rappresentazioni della sessualità femminile nera nel mercato culturale (cantanti e film): “dobbiamo imparare a vedere”, ribadisce. Nella prefazione alla nuova edizione, Maria, sottolinea in bell hooks l’esercizio dello sguardo, come pratica rivoluzionaria da cui costruire una teoria basata sull’andare oltre quel che sembra: è una riflessione critica sul discorso della rappresentazione e sul diritto a non accettare passivamente quello che il sapere egemonico ha costruito sull’Altro. bell hooks, pensando alle donne nere accomunate dalla negazione del diritto di guardare, enfatizza il conseguente «straordinario desiderio di guardare, un desiderio ribelle, uno sguardo oppositivo», che non si esaurisce nell’atto in sé ma include la volontà di poter cambiare la realtà. «Nella mia vita lo “sguardo” è sempre stato politico.»
Anche Toni Morrison nel 1992 s’ interrogava sulla pesante rimozione della presenza nera dal canone letterario, che così distorce e falsifica un’intera cultura, non essendo permeata dai quattro secoli di presenza di africani prima e di afroamericani poi.
Prendendo spunto dalla conversazione (2006) di bell con l’artista Amalia Mesa-Bains, che studia le pratiche estetiche chicane, emerge l’urgenza di interrogare la rappresentazione, per poter produrre un nuovo campo visuale di rappresentazioni decolonizzate: in particolare analizza la storia dell’interesse per Frida Kahlo e trova ironico che sia stata scelta “dalle femministe bianche per occupare un rispettabile posto nel loro pantheonperché le stesse femministe bianche non hanno generalmente a che fare con le questioni di classe”: “Voglio dire, prendono una donna artista di colore il cui essere politico è fondato sul pensiero marxista e socialista, che è in corrispondenza con Emma Goldman e altri radicali per tutta la sua vita, e poi la trasformano in una persona che ha a che fare solo con la ribellione stilistica!”… è solo quando ci allontaniamo dalla tendenza a definirci in reazione al razzismo bianco – aggiunge – che siamo in grado di muoverci verso quella pratica di libertà che ci impone prima di tutto di decolonizzare le nostre menti”.
Quello che Frida ha fatto, come donna di colore, è stata un’operazione radicale per creare la sua pittura, usando strategie associate all’arte popolare. Se in vita, è stata coinvolta con i tentativi di svincolarsi dalle definizioni imposte, questo continua anche dopo la sua morte. Le femministe bianche, attraverso il tropo dell’imperialismo culturale, come osserva bell, potevano imporne la prossimità, la vicinanza. Anche di recente l’antropologa argentina Rita Segato, alla Fiera del Libro di Buenos Aires ha denunciato l’eurocentrismo,(“Le virtù della disobbedienza”)rispetto alla colonizzazione culturale occidentale che vorrebbe imporre concetti estranei alla realtà latinoamericana. Ha così affermato che l’Europa, sempre più chiusa nella solitudine di una «nevrosi del controllo, monoteista e bianca», è “sola” perché non sa specchiarsi «nel riflesso che potrebbero offrirle gli occhi dell’altro».
Se vogliamo resistere alle rappresentazioni egemoni, abbiamo bisogno di un’immaginazione de-colonizzata che non sia razzista, che non abbia una prospettiva femminista riformista. Al di là anche dell’abuso dell’icona Frida nel mercato culturale, è necessario cogliere ad esempio la complessità dell’arte di Frida Kahlo considerando desiderio e politica.
bell hooks infatti mette in luce come l’immagine di Frida Kahlo sia stata “domesticata” attraverso parametri di classe, razza e preferenze sessuali, perché le femministe bianche l’hanno spoliticizzata, senza comprendere il ruolo che ha giocato in Messico dentro il movimento rivoluzionario. Mi limito a ricordare due cose riguardo alla sua passione politica: nonostante fosse nata nel 1907, diceva di avere visto la luce il 7 luglio 1910, nel giorno in cui Emiliano Zapata iniziò la sua rivoluzione per liberare il Messico dalla dittatura, rivendicando quindi il fatto che lei e il nuovo Messico fossero ‘nati insieme’. E che nel 1954 (prima di morire) dipinse “Il marxismo darà salute agli ammalati”, il cui titolo originale doveva essere “Pace sulla Terra così che la Scienza Marxista possa Salvare i Malati e Coloro che sono oppressi dal Criminale Capitalismo Yankee”.
Per le rappresentazioni in generali – ricorda bell – le nere colonizzate di tutto il mondo imparano dall’esperienza che “c’è uno sguardo che guarda per documentare” e opporsi. Anche noi, se vogliamo resistere oggi alle trappole e ai tentacoli liberisti, alle metanarrazioni mediatiche normalizzanti e anestetizzanti, dobbiamo coltivare la consapevolezza politicizzando le relazioni di sguardo: “si impara a guardare in un certo modo per resistere”, ma anche per contestare, interrogare, inventare. Nell’oggi cioè in cui siamo sommerse da immagini femministe banalizzate spesso da strategie di marketing fra canzoni, moda e pubblicità, l’impegno è di dis-apprendere di continuo i codici in varie forme coloniali, con uno sguardo particolarmente critico, per non perdere la carica di dissonanza.
Credo che chi di noi ama la pittura corra il rischio di ammirare la produzione di Frida senza interrogarsi sulla colonizzazione insita nel proprio sguardo, senza chiedersi cosa ha rappresentato e rappresenta per le donne di colore. Questo per sottolineare come l’opera di decolonizzazione anche nell’immaginario, quando si riappropria dello sguardo, deve essere profonda in ogni caso. Quello che è accaduto infatti alla sua immagine ci dimostra come bisogna essere vigili circa la rappresentazione in generale, ricordando che Frida è stata espropriata, derubata della sua passione politica e della sua complessità che si sono come smarrite nella reificazione.
La parola ora a Liana che coordina l’incontro con le altre amiche che ringrazio di essere qui. Buon ascolto!